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L’Italia verso un nuovo futuro: le valutazioni dell’economista Walter Frangipane
Nel luglio 2020, la Commissione Europea ha annunciato il suo pacchetto da 750 miliardi di euro per rilanciare l’Economia europea post-pandemia, il Next Generation EU (Prossima Generazione Unione Europea) forse meglio conosciuto con la precedente denominazione “Recovery Fund” (Fondo per la Ripresa).
Il programma comprende una serie di prestiti e sovvenzioni che saranno finanziati “by taking out European debt” (attraverso il debito che l’Europa contrae per finanziare gli Stati).
Sebbene le norme sulla condivisione delle responsabilità per la Next Generation EU impediscano una significativa mutualizzazione del debito, i leaders europei hanno compiuto un primo passo significativo, auspicato da tempo, verso l’unificazione finanziaria e politica europea che si pone in netto contrasto con i programmi di austerità fuorvianti adottati in passato durante le crisi del debito sovrano europeo.
Il pacchetto Next Generation EU della Commissione europea comprende 750 miliardi di euro.
Sebbene giustamente criticato, in quanto non è abbastanza sufficiente per affrontare la gravità delle conseguenze economiche del virus pandemico, tuttavia è la prima volta nella storia recente che l’E.U. (l’Unione Europea) contrarrà direttamente una forma significativa di debito pubblico reciproco, nei confronti degli investitori, per ridistribuire risorse finanziarie e stabilizzare l’economia.
Al fine di finanziare il pacchetto, la Commissione europea, quindi, contrarrà prestiti durante il periodo di bilancio 2021-2027, oltre ai prestiti per il normale bilancio dell’E.U., di cui si farà cenno in seguito, e li rimborserà con i contributi degli Stati membri a basso tasso di interesse dal 2021 in poi, mentre il capitale piuttosto considerevole lo rimborserà non prima del 2028 e non oltre il 2058.
Alcuni Economisti hanno definito questo periodo storico dell’E.U. come “Hamiltonian moment” (momento hamiltoniano). Per inciso, Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti nel 1790 riuscì a trasformare il debito, che le 13 colonie avevano accumulato nella lotta per ottenere l’indipendenza e l’autonomia dal Regno Unito, in debito pubblico del nuovo stato federale, ponendo così le basi per la nascita dei moderni Stati Uniti d’America.
Ma “a grandi linee” come è composto il pacchetto di 750 miliardi di Euro di cui stiamo discutendo?
La somma di euro 672,5 miliardi son destinati all’European Recovery and Resilience Facility R.R.F. (cioè Piano Europeo per la Ripresa e la Resilienza «resilienza come è stato scritto in passato è la capacità di assorbire lo shock pandemico e/o economico e riprendere il percorso crescita»). Di tale somma, 360 miliardi di euro sono destinati a elargire prestiti agli Stati membri a tassi di interessi più economici rispetto a quelli con cui gli stessi Stati si rifinanziano in Europa; la somma di 312,5 miliardi di euro è destinata a “fondo perduto”.
Inoltre la somma di 47,5 miliardi di euro è destinata al REACT-EU, acronimo di “Recovery Assistance Cohesion Territories E.U.” (Assistenza per la Ripresa e la Coesione dei Territori Europei) ed è a “fondo perduto”.
La somma di 5 miliardi di euro è destinata alla “Horizon Europe” (Orizzonte Europa) e riguarda la ricerca e l’innovazione nello sviluppo sostenibile a “fondo perduto”. La somma di 5,6 miliardi per Invest-EU, è una forma di garanzia a favore di investimenti strategici europei (l’acronimo è chiaro nel suo significato) che riprende progetti di valore e che si rifà al “Piano Junker”, precedente al COVID, ed è a “fondo perduto”.
La somma di 7,5 miliardi di euro pure a “fondo perduto” sono destinati al “Rural Development”, cioè allo Sviluppo Rurale sostenibile ed equilibrato delle economie delle comunità rurali, compresa la creazione e il mantenimento dell’occupazione.
La somma di 10 miliardi di euro, a “fondo perduto” per la “Just Transition Fund J.T.F.”: cioè il Fondo per una transizione giusta, che rappresenta uno strumento finanziario nuovo nell’ambito della politica di coesione, che mira a fornire sostegno ai territori che affrontano gravi sfide socioeconomiche derivanti dalla transizione verso la neutralità climatica.
La somma di 1,9 miliardi di euro a “fondo perduto”, che sarà poi implementata con risorse fuori del Recovery, destinata alla “RESc EU” («resc» in inglese significa trarre in salvo), che rappresenta un ulteriore livello di protezione civile dei cittadini in Europa e rafforza la preparazione europea alle catastrofi.
Il termine per presentare a Bruxelles il Piano da parte dei Paesi E.U. è pressoché vicino: 30 aprile 2021. Diversi Paesi europei lo hanno già presentato, ma non tutti.
Il precedente governo aveva predisposto, per il Recovery Plan, il P.N.R.R. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (d’ora in poi si chiamerà così P.N.R.R.), la cui stesura è stata alquanto tormentata, tanto che sono sorti contrasti fra alcuni schieramenti politici sui contenuti; diversi di questi, infatti, si presentavano un po’ deboli ed andavano rafforzati, e peraltro non era ben delineata la “governance”, che rappresenta uno snodo molto importante. Anche la Confindustria si è pronunciata ritenendo il P.N.R.R. insufficiente. Ed è per quel Piano che non tanto è caduto il precedente governo, ma piuttosto se n’è formato uno nuovo a guida Draghi, perché la scadenza per presentarlo era oramai vicina.
Certo la distanza dalla scadenza è molto breve ed è difficile che l’Unione Europea concedi qualche proroga, però questa non sarebbe neanche affatto improbabile, se mancassero all’appello numerosi Paesi.
Indubbiamente il P.N.R.R. non può essere interamente demolito per rifarne un altro; qualcosa si può ancora fare, non moltissimo, ma le cose più importanti, pur senza entrare nel merito, è prevedibile che i tecnici della nuova compagine governativa le migliorino e le rafforzino.
Naturalmente il P.N.R.R. è un insieme di progetti, per i quali il nuovo governo dovrà indicare nello “specifico” come intende allocare i fondi che arriveranno da Bruxelles e cioè per quali investimenti o incentivi vorrà utilizzare i fondi, indicando le “milestone” ovvero le “pietre miliari” dei progetti, ossia i vari passaggi, ma dovrà indicare anche i “target” (scopi, traguardi) da raggiungere e chi dovrà occuparsene o gestire (Ministeri, Enti pubblici locali, Aziende pubbliche etc.). Ovviamente non basterà affatto elencare i progetti che dovranno essere realizzati comunque entro il 2026, ma bisognerà dire anzitempo, quando sarà realizzato il progetto, cosa si vorrà raggiungere per il 2030 e il 2050. Inoltre bisognerà delineare una “governance” (struttura governativa), che sarà quindi una struttura centrale molto forte presso il M.E.F. (Ministero Economia) e strutture ad essa collegate presso i vari Ministeri, competenti per progetti, che si occuperanno dell’esecuzione e del monitoraggio continuo, costante dei progetti stessi.
Ma ci sono dei temi che la Commissione ritiene imprescindibili per l’approvazione del P.N.R.R. e che rappresentano le “flagship areas” (aree di punta): una è costituita dalle energie pulite e rinnovabili, efficienza energetica etc. cioè la così detta “transizione ecologica”, che non sarà facile realizzare in tempi brevi; l’altra è la digitalizzazione: qui il nostro Paese dovrà investire sul “cloud” («cloud» tradotto dall’inglese significa nuvola, ma qui non c’entra nulla; significa invece internet, banda larga, 5G etc. etc.). Ed infatti per l’ecologia, come per il “cloud” nonché per le “skills” (tecniche) digitali, la Commissione Europea ha stabilito che ogni Paese dovrà indirizzare almeno il 37% della spesa del Piano alla questione climatica e almeno il 20% al digitale.
Dei 750 miliardi di euro del Next Generation EU, all’Italia spetterebbero, da una recente stima del M.E.F., 191,5 miliardi di euro, di cui poco più di un terzo come sussidi, cioè a fondo perduto, e poco meno di due terzi come prestiti. Erano previsti in realtà 196,5 miliardi di euro, ma nel 2020 è diminuito il reddito nazionale lordo italiano rispetto alla media degli altri Paesi EU, però andranno anche aggiunti altri 14 miliardi di euro per il REACT (cioè l’Assistenza, la Ripresa e la Coesione dei Territori Europei). Tuttavia tutte le cifre finora esposte sono suscettibili di piccole variazioni e riaggiustamenti, nell’ambito del Piano di Ripresa.
Oltre ai temi imprescindibili poc’anzi accennati, la Commissione ha individuato una serie di riforme strutturali che ogni Paese dovrebbe mettere in atto. Per l’Italia sono tre: la riforma del fisco, la riforma giudiziaria e la riforma della Pubblica Amministrazione. Delle prime due riforme (giudiziaria e fisco) non si conosce molto, però sembra che siamo per ora all’inizio ed il cammino non sarà affatto semplice. Per la riforma della Pubblica Amministrazione, affidata al Ministro Brunetta, sembra che siamo sulla dirittura di arrivo, ed il Ministro ha previsto che bisognerà procedere, attraverso bandi di concorso, all’assunzione di numerose persone con titoli qualificati sopra tutto nel Sud Italia, al fine di porre in atto il P.N.R.R.
Dopo il 30 aprile, dopo cioè che i Paesi dell’E.U. (Unione Europea) avranno presentato i loro Piani, la Commissione avrà otto settimane di tempo per la loro valutazione. I progetti saranno esaminati in base a undici criteri suddivisi per pertinenza, efficacia, efficienza e coerenza. Almeno sei di questi criteri dovranno ottenere la valutazione massima di “pienamente soddisfacente”, dopo di che i progetti saranno passati al Consiglio dell’E.U. che avrà altre quattro settimane per assumere la decisione finale, per cui l’approvazione dovrebbe arrivare presumibilmente per fine luglio.
E così successivamente inizieranno i “prefinanziamenti” che saranno commisurati ad una tranche pari al 13% dell’importo complessivo dei progetti approvati. Ma ci saranno tempi di spesa già prestabiliti. I fondi dovranno essere impegnati entro il 2022 o il 2023, a seconda del progetto, e la realizzazione conclusa entro il 2026. Così se l’Italia vorrà realizzare, per esempio, una tratta ferroviaria di treno veloce, dovrà definire il contratto per la realizzazione entro il 2023 e completare l’opera entro e non oltre il 2026, ma non basta realizzarlo, dovrà dimostrare – anzitempo – i benefici in termini economici che l’opera produrrà. La somministrazione delle risorse finanziarie avverrà a tranches ed ogni sei mesi i progetti verranno riesaminati, prima di procedere ad erogazioni successive.
La novità più importante, e forse più eclatante, è che l’intera somma di 750 miliardi di euro sarà raccolta per la prima volta nella storia dell’E.U. (Unione Europea) attraverso l’emissione di debito comune (cioè non di un solo Paese ma di tutti i Paesi), che sarà garantito in “solido” da tutti i Paesi appunto dell’E.U.
Questa decisione è stata molto contrastata nei mesi scorsi dai Paesi del Centro Nord Europa, in particolare dai Paesi frugali, Austria, Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi, prima che si raggiungesse l’accordo, perché quei Paesi hanno chiesto che i fondi andassero in “riforme” e sopra tutto in progetti di “crescita” e mai in altri provvedimenti come “riduzione delle tasse”.
Però prima che l’E.U. inizi la raccolta dei fondi, attraverso la costituzione di debito europeo comune, tutti i Parlamenti degli Stati membri, cioè di tutti i 27 Stati, dovranno fornire contributi all’Europa pari allo 0,6% del reddito nazionale lordo, sia per aumentare il margine di manovra dell’Europa stessa e sia anche per fornire sicurezza agli investitori, quei soggetti cioè che presteranno i soldi all’Europa per l’erogazione dei fondi ai Paesi membri.
Siamo quindi davanti a una svolta storica e ci accingiamo ad affrontare una sfida imponente per tutti, che è auspicabile porti, dopo la crisi pandemica, maggiore coesione fra i Paesi dell’Unione Europea.
Walter Frangipane – Economista