UNICAL: il prof. Rubino eletto Capo del Dipartimento di Scienze giuridiche e aziendali
Bruciano i boschi, la terra si consuma, l’aria soffoca, l’amore si spegne. Anche in Calabria la salvezza c’è ancora
Il fuoco ha dato origine al Progresso. Il fuoco trasforma e modella le materie e le sostanze ed offre all’uomo la possibilità di creare dal nulla le cose, dalle vecchie una cosa nuova. Il fuoco riscalda le persone ed offre loro l’energia principale per migliorare la vita. E costruire ricchezza, anche. Il fuoco è ricchezza in sé. È sempre bello. E buono. È sempre amico. Mai nemico. E nemico non potrebbe essere, perché è parte , a suo modo, della natura. O della Creazione, per chi in essa crede. Ha ispirato filosofi, dando quasi origine alla Filosofia. Dai poeti è immaginato come forza che accende e brucia dentro. E dà forza all’Amore. Il fuoco è luce. Ma di quella magica, che illumina all’improvviso. Squarcia la notte e colora di rosso e di bluette il giorno.
Il fuoco non è mai cattivo. Quando distrugge non è lui il colpevole, ma l’uomo stolto che non protegge i boschi e le foreste e l’uomo cattivo che lo accende sui boschi e le foreste. Il primo non conosce la bellezza e non la cura. Il secondo, la odia perché non sa amare. Non sa amarsi. Il primo l’abbandona, per pigrizia, egoismo, menefreghismo. Il secondo la distrugge. Per interesse bieco e per sadismo. Per l’alleanza stretta fra questi due uomini molto simili, anche nell’estate corrente il fuoco, che si fa incendio, ha distrutto centinaia di ettari di bosco e migliaia di animali, anche dell’aria, mettendo a rischio di estinzione alcune specie già divenute rare. Lo stesso pericolo riguarda le piante, in particolare alcune, talmente preziose e rare che la stessa Unesco ha inserito nel “catalogo” del patrimonio dell’umanità. In estate l’Italia brucia tutta intera, quasi fosse una strategia invisibile a comandarne i roghi, il calendario e la loro distribuzione geografica. Due settimane fa è toccata alla Sardegna. Quasi contemporaneamente ha preso fuoco la Sicilia, nella zona di Catania specialmente. Una settimana addietro l’incendio è divampato sulle colline verdi di Pescara.
Il dolore per quelle immagini sembrava trovasse conforto nel riposo che gli stupidi e i criminali si erano concessi quest’anno nella nostra regione, magari pensando che non ci fosse più nulla da bruciare dopo le feroci devastazioni del passato, anche recente. Quella nicchia del cuore, in cui abbiamo fatto riposare la preoccupazione per la vita dei nostri boschi, si è incendiata da sola alle più rapide notizie dei primi “ fuochi” accesi. Sulle colline scoscese di Carlopoli, in quei punti irraggiungibili tra Castana e Bianchi, là dove non si arriva con i mezzi dei pompieri, una decina di uomini e donne coraggiosi, in attesa dei canadeir, che non sono arrivati, si sono battuti giorno e notte per spegnere l’incendio gravemente minaccioso. Ci sono riusciti fortunatamente. Loro, una piccola pattuglia, per amore delle loro montagne hanno rischiato la vita. La prima olimpiade i nostri ragazzi l’hanno vinta lì e senza salire sul podio per ricevere la medaglia. Ma la cattiveria non si è mai arresa. Quando si stanca si riposa il tempo di prendere fiato. Poi ricomincia a far male.
Da giorni la Calabria nuovamente brucia. Brucia un po’ ovunque ci sia vegetazione. A macchia di leopardo, con quei grandi cerchi neri che dall’alto meglio mostrano il nero della terra bruciata e del verde incenerito, dopo quello del fumo acre che è salito in alto fino ad accecare gli occhi del cielo. Il rogo che più preoccupa e addolora è quello sull’Aspromonte. Addolora per le vaste proporzioni che sta assumendo e per la mano, particolarmente assassina che l’ha prodotto. Sembra essere stata comandata da una strategia ‘ndranghetistica, che molto rimanda alla strategia del terrore che la mafia di Totó Riina ha introdotto con la strage di via dei Georgofili a Firenze nel maggio del 1993. Devastazioni senza limiti sono quelle che anche oggi il territorio calabrese sta subendo.
Tutte le forze della Protezione Civile si stanno mobilitando, attraverso anche l’iniziativa che il Governo ha assunto, forse tardivamente, dichiarando lo stato d’emergenza generale. Giornate intere, queste, a lottare contro un mostro che non somiglia affatto al fuoco, ma a una guerra, la più feroce. Eserciti di pompieri e volontari e flotte intere di canaider ancora una volta hanno ingaggiato una lotta quasi impari, che sembra dover finire solo quando l’incendio avrà compiuto il suo lavoro di distruzione e morte. Di alberi. Di boschi interi. E persone. Come le due, ieri, un giovane e una donna di Bagaladi. Alla fine del triste spettacolo resterà per lungo tempo quell’aria nera ed acre, un enorme tappeto di cenere nerissima. E il vuoto negli occhi. I danni sono già incalcolabili come le risorse occorrenti per ripararli. Ma solo in parte, perché il danno, anche il più piccolo, alla natura è per sempre.
Niente, tornerà come prima. E il tempo non è vero che sempre ci darà ragione. Basti pensare a quello necessario per il ritorno dei terreni al loro stato originario. Lo sappiamo ma non lo ricordiamo mai. I nostri nonni, che pure non hanno studiato, ce l’hanno insegnato bene: la distruzione di intere aree verdi accorcia di chissà quanto la vita del pianeta. Già la distruzione di un albero, solo di uno, rappresenta una ferita profonda inferta alla natura e alla bellezza. Per rendersene conto appropriatamente occorre assistere di persona a un incendio che lo divori. Le immagini trasmesse dalle televisioni, per quanto angosciose, non rendono compiutamente il dramma di una devastazione così profonda.
Dramma umano, perché l’albero è vita per l’uomo. E vita esso stesso è. Con il carico di una certa retorica, ancora si dice che la morte di un uomo si rappresenti come la morte dell’intera umanità. Ecco, anche la morte di un albero rappresenta la morte di tutta la natura. Ché se la natura è fatta per l’uomo, l’uomo è fatto di e per la natura. Ambedue sono fatti di e per la Vita. In questi ultime settimane sono stati celebrati tre momenti molto significativi sul piano internazionale, ai quali( anche qui, come per gli incendi, il caldo c’entra poco) abbiamo prestato assai scarsa attenzione. Essi sono: il dibattito sulla tenuta dell’ecosistema; una specie di G20 sulla cultura, tenutosi a Roma; la giornata mondiale dell’amicizia, indetta dall’Onu dieci anni fa. Tre momenti legati insieme da tre parole. Le meno pronunciare. Le poco conosciute. Quelle, forse, dimenticate. Sono: Vita, Amore e Tempo.
Se tutti i popoli, non solo quei venti dei paesi più forti, non diventeranno amici fra loro e tutti insieme amici della terra che xi ospita, l’uomo non salverà se stesso e lascerà morire il pianeta più bello dell’universo conosciuto. La battaglia cui siamo tutti chiamati dopo le guerre che l’essere umano ha fatto contro se stesso e il Progresso, è quella per la Vita. La Vita, ovunque essa di se stessa viva. Per combatterla e vincerla c’è bisogno dell’Amore. Di tutto l’amore di cui la Vita dispone. Il Tempo è “subito”. Ché quello che presuntuosamente pensavamo di avere si è già consumato. Come l’aria, che abbiamo inquinato e soffocato. Come le foreste, che abbiamo bruciato. Come la terra, che abbiamo “ divorato”. Franco Cimino